Distanza Vicina

Oggi sento che non ho molto da dire. Ma non perché non stia facendo molte cose o perché non ci siano novità. Ogni giorno è diverso, è una nuova sfida, è imparare tanto. Ammiro nuovi posti, svolgo mansioni nuove a lavoro, partecipo a diversi eventi, conosco incredibili persone. Sento semplicemente di non aver troppo da raccontare perché sta capitando qualcosa, qualcosa che non mi aspettavo capitasse così in fretta: la Federa della Costa Rica sta diventando la mia nuova vita, la mia routine, la mia vera realtà. Non c’è più quel mistero di ignoranza, ogni giorno so dove mi può portare e so cosa mi può dare: quello che voglio io. Sto pilotando la mia vita e ne sono diventata padrona. Mi sento a casa mia, cammino nelle mie vie, arrivo nel mio ufficio, parlo con i miei colleghi, rincaso dalla mia famiglia. E’ diventato tutto mio.

Le esperienze fuori casa sono strane, chi non le ha fatte si immagina che siano come una lunga vacanza di piacere: nulla di più sbagliato. Quando rinizi e dedichi tutte le tue energie a ricostruirti, dopo un po’ -se ci riesci- diventa questa la tua realtà, la tua vera vita.  Ti dimentichi che c’è una data di scadenza e la vivi a tremila. Allora quel caffè da Abbo, quel pomeriggio al Valentino, quella domenica a Casa Canada, quella nottata ai Murazzi, iniziano a sembrare lontani anche nel tempo e non solo nello spazio. Fare tante esperienze diverse significa avere molteplici vite e assumere differenti identità. Ma la verità è che quelle esperienze non sono finite mai con la data di rientro in Italia, su quel volo per Caselle. No, quelle vite continuano a vivere di vita propria, sono solo messe in stand-by per qualche tempo. Riniziano a pulsare nel momento in cui atterro a El Prat di Barcellona, in cui scendo dal Flixbus per Venezia, in cui mi stendo a Las Teresitas di Tenerife, in cui guardo il tramonto a Roque Nublo di Gran Canaria, in cui salgo al secondo piano del bus rosso per Shoreditch a Londra, in cui mangio le polpettine di zia Mena a Botricello in Calabria, in cui osservo le stelle da Santa Maria del Focallo in Sicilia. E allo stesso tempo è diventata così anche la mia vita di Torino e di Pinerolo, una dimensione che in questa realtà non c’è e che riprende le sue energie vitali solo nel momento in cui apro quel varco, anche solo con una videochiamata con Giando o con uno scambio spetegules con Ari. E allora adesso mi sento davvero questa, colma di energie che camminano e respirano il tempo costaricense. Non sento la voglia di tornare, non sento di essere così lontana, perché sento di essere vicina al mio qui ed ora. E’ quindi Claudia quella che ora per me è la mia compagna di avventure, è Steven il mio confidente di segreti, paure e desideri, è Nuria la mia collega fidata, è Carlota la mia amica di idiozie. E’ incredibile, alla fine, come le mie diverse vite siano poi in fondo una sola, adattata ai vari contesti. Mi sento la protagonista di un copione scritto ad hoc dove incredibilmente, in un modo o nell’altro, trovo sempre i personaggi principali pronti a portare a termine il loro ruolo in maniera unica ed accompagnarmi lungo la storia. Ognuno interpreta in maniera spettacolare il ruolo di cui sento avere il bisogno, o forse sono io che so adattarmi sempre alla grande per riuscire a stare bene e quindi vago oltre con la mente, non lo so. Ognuno mette in scena la propria performance e rimango sbalordita sempre più da cotanto talento di vita. Non sto dicendo che le persone della mia vita siano intercambiabili: un Diego Pego, un Cipe, un Warlets, una Tagna e una Finiberta, così come tutti gli altri, sono unici nel loro genere e non li si ritrovano nemmeno perlustrando ogni singolo angolo del mondo. Semplicemente vivo dentro di me e quello che incontro fuori è sempre bello. Quello che voglio dire è che andarsene da casa non è poi così lontano dal decidere di rimanerci. Superati i primi momenti di difficoltà -di smarrimento, senso di solitudine, rabbia, nostalgia ed entusiasmo nervoso- dopo un qualche tempo, si raggiunge ciò che è la propria idea di routine, andando a soddisfare tutti quelli che sono i propri reali bisogni, di cui si riesce a prendere coscienza solo attraverso la solitudine e la lontananza (almeno per me!). Non è assolutamente facile -sia chiaro- ma quando lo si raggiunge con tanti sforzi è davvero emozionante. Quindi andare a vivere da soli dall’altra parte del mondo, anche se donna e sola, non è poi chissà quale follia o quale problema. Questo lo dico per chiunque abbia voglia di farlo, ma che ne ha paura o che pensa sia troppo. Non lo è assolutamente. E’ qualcosa di magico perché qui, dall’altra parte del mondo, oltre ad avere tutto ciò che già si ha a casa propria (a parte il cibo, purtroppo quello è ineguagliabile!) si hanno altre mille cose in più, che la comodità di mamma e del quartiere di sempre non possono darti. Ogni giorno parlo con le persone, imparo a conoscerle, mi metto in ascolto. Quanta vita c’è al di fuori del mio paesotto, quanta voglia che ho ancora di scoprire di più,  di vedere di più, di non fermarmi ancora. Qui non ho paura del tempo, delle tappe che la società mi obbliga a raggiungere, del peso di dover avere un ragazzo ad ogni costo perché il concetto di single e ‘sola al mondo’ sono considerati la stessa cosa, di avere un lavoro che sia indeterminato ma che allo stesso tempo sia dinamico e creativo perché se no ‘che palle!’, di avere una bella casa, dei bei vestiti alla moda, una gran macchina e magari un bel cane di razza con cui farsi tanti selfie da pubblicare su Instagram perché se no non sei abbastanza bella e non hai abbastanza followers e quindi ti senti sbagliata e non abbastanza attraente. Qui ogni giorno mi sveglio in una stanzetta di legno di 10 metri quadrati, in una casa che non è nemmeno lo sgabuzzino della Reggia di Venaria, ho un armadio grosso quanto una valigia, ho un contratto di lavoro temporaneo e non ho un fidanzato ma, giuro, non mi sento assolutamente sola. Io ho me stessa e un sacco di persone in ogni mia vita. Si può vivere in mille modi -non critico nessuno, chi riesce a mantenersi grazie alle foto sui social è un grande-  l’importante è essere padroni di scegliere il proprio stile, essere pronti a farlo anche se non è lo stile più gettonato e anche se gli altri non lo comprendono e lo giudicano male.

Ed è solo grazie ad averla pensata così se qui oggi posso essere felice perché libera di vivere, pensare, osservare, mettere in pratica ed esprimermi per ciò che sono.

Il risultato è pazzesco.

 

Europa, mi manchi.

La cosa che è cambiata in me è l’identità che indosso qui: la gente mi definisce l’europea, poco importa di dove. Da questa parte del mondo è l’Europa ad essere il sogno;  nessuno sa la differenza tra un francese, un polacco o un italiano. Era un sentimento che non avevo mai provato, l’idea di essere parte di una cosa che da qui sembra piccola, ma che vivendo lì, in Spagna, a Torino o a Londra, sentivo come l’estero. Però qui racconto a tutti di cos’è e cosa significa vivere lì, in quella Europa che racchiude l’Italia, ma che è anche tanto altro. Perché è l’Europa ad avere una dimensione piccola, comoda, alla portata di tutto. Qui non hanno idea di cosa significhi fare due sole ore di macchina per trovare un popolo appartenente ad un’altra cultura, un’altra lingua, un’altra storia. Qui, da Tijuana in Messico alla Terra del Fuoco in Argentina, per 10.543 km -togliendo il Brasile- hanno tutti la stessa lingua, che cambia solo per qualche parola, accento e intonazione. Ma un messicano e un argentino parlano la stessa lingua, anche se distanti chilometri, quando si incontrano si capiscono. Tutt’altra storia è assistere a una conversazione tra nonna Selina, buona donna piemontesissima, e nonna Gina, forte donna calabra. Lì le difficoltà linguistiche sono decisamente superiori, nonostante la stessa nazionalità. L’Europa da qui è bella, è varia, è di una dimensione perfetta. I tratti somatici dei latini effettivamente cambiano tra i vari popoli, anche qui ci sono state molte mescolanze. Quindi i costaricensi possono essere scuri, chiari, capelli rossi, bianchi, anche se generalmente sono più o meno mulatti. Ma nonostante la varietà, non sarebbe possibile per questi ragazzi, in nessun caso, prendere un treno e viaggiare in sicurezza per qualche giorno, cambiando ligue e culture, scoprendo città diverse tra loro, ma accomunate da un passato millenario. Ed eccomi qui a provare a spiegare che un interrail  non è un semplice viaggio in treno, che un Erasmus non è solo studiare in un altra lingua, che uno SVE non è solo un periodo di volontariato. Spiego che noi europei con meno di 50 euro davvero possiamo prendere un aereo ed andare a un festival in un altro Paese solo per un weekend ed essere di ritorno a lavoro il lunedì, e che se abbiamo voglia di mare e caldo o di freddo e neve possiamo scegliere, da noi esistono le 4 stagioni.

Mi rendo conto che noi europei siamo davvero fortunati: sento cosa siamo, vedo le ricchezze che abbiamo. Da qui, sento intensamente il potere della nostra storia, ricordo le nostre abitudini, penso ai nostri profumi. E tutto questo mi manca.